Paura

La paura del dopo - testimonianza ComuniCARE

Molti detenuti provano un genere di paura che invece di attenuarsi, si amplifica col passare del tempo e raggiunge l’intensità maggiore a ridosso della fine della pena.

È la paura del “dopo”. Che cosa accadrà quando si apriranno le porte del carcere? È una paura più invasiva e subdola delle altre. Può spingere al punto di credere che “dentro” sia meglio che “fuori”, che il carcere sia una protezione, un luogo sicuro in cui nascondersi.

Anche in chi si dichiara impaziente di uscire, mano a mano che la data dell’uscita si avvicina, si nota un’irrequietezza maggiore. Spesso non si tratta solo di una comprensibile preoccupazione legata alla difficoltà di riprendere una vita normale uscendo dal carcere, ma di una vera e propria fobia.

Il futuro fuori dal carcere per molti detenuti è un’incognita opprimente. Questo vale sia per chi ha famiglia e lavoro all’esterno, sia per chi non li ha.
Come reagiranno i familiari, gli amici, i colleghi? Come saranno gli sguardi della gente per la strada, al supermercato, al bar?

Cresce la paura di provare vergogna, di restare soli. È una sorta di fobia
dell’abbandono, ma non soltanto questo. È paura di non riuscire a sopportare la vita oltre l’espiazione della pena. Si avverte un senso di inadeguatezza, di inferiorità che esclude dalla comunità degli uomini “normali”.

La propria umanità sembra diminuita, monca, sgraziata. È come se un campanello odioso ci precedesse sempre, dappertutto e ricordasse la nostra menomazione.

La paura sembra svelarci un segreto che ci riempie di orrore: non c’è rimedio alla colpa, il carcere non ci priva soltanto della libertà per un periodo, ma ci priva per sempre della possibilità di vivere pienamente la vita, prigionieri del senso di colpa e del rimorso.

La pena vera non è, dunque, dentro, ma fuori. È una rivelazione che ci toglie il sonno. Turbinano nella nostra mente parole che ci sembrano inganni: riabilitazione, reinserimento sociale, rieducazione… siamo stati
davvero ingannati?

I giorni passano e la paura cresce, fra tentativi amichevoli di conforto e rassicurazione da parte di chi ci sta vicino.

Soltanto se abbiamo imparato a conoscerci e ci siamo aperti alla possibilità di un profondo cambiamento interiore, riusciamo ad affrontare e ridimensionare la paura del “dopo”, a trasformarla in qualcosa di utile: in cautela, ad esempio, in capacità di riconoscere e gestire le difficoltà.

Se riusciamo a vedere dentro di noi, la nostra paura diventerà prudenza e ci guiderà insieme al coraggio ottenuto con la trasformazione della rabbia.

Nessuno può liberarci dalla paura: soltanto noi stessi possiamo farlo. Scopriremo così che la nostra umanità non è stata menomata, ma rinvigorita. Saremo uomini nuovi.

(da Fabrizio Pellegrino, “La coscienza dell’ombra”, Nerosubianco, 2020)

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